
Di recente ho pubblicato qui alcuni brevi articoli, con i quali ho consigliato alcune letture per acquisire più competenze sul tema delle neuroscienze.
Sembra siano stati apprezzati, e molti mi hanno chiesto di non limitarmi a segnalare una bibliografia, ma di recensire almeno alcuni libri o alcuni autori.
Perciò mi sono deciso a pubblicare alcune recensioni specifiche, sempre suddividendole per le 5 categorie con cui avevo inizialmente ripartito la bibliografia consigliata.
La quinta categoria riguardava la lista di quelli che, a mio avviso, sono i migliori libri che forniscono suggerimenti su come utilizzare in modo pratico le conoscenze neuroscientifiche in ambito lavorativo e nella quotidianità.
Si tratta di libri che potremmo definire di “self-help”, un genere di saggi che spesso lasciano a desiderare, ma che in certi casi presenta delle vere e proprie perle.
Come nel caso del penultimo libro di Vito Mancuso, di cui vorrei parlarvi in questo quinto e conclusivo articolo di recensione: “Il bisogno di pensare”. Con esso, Mancuso produce una mirabile sintesi di taglio filosofico, ma seriamente basata sulle più avanzate conoscenze scientifiche, dei meccanismi del pensiero umano.
Sono un ammiratore del Prof. Vito Mancuso da molti anni, ormai. Figura d’intellettuale gentile e profondo del pensiero teologico, specificamente attivo nella nostra realtà italiana che, per quanto tenda inesorabilmente a una laicizzazione (o a un laicismo…dipende dai punti di vista) generalizzata, continua a essere influenzata da una cultura e da una presenza cattolica determinanti.
In realtà Mancuso va definito un filosofo, o più in generale un pensatore eclettico che fa leva su un proprio spirito religioso derivante (ma non del tutto coincidente) dalla dottrina cattolica.
Un pensatore assai efficace, sia nei suoi testi che nei suoi discorsi, e in grado di toccare corde importanti del nostro intelletto e del nostro cuore.
Mancuso, in ogni caso, si muove su binari di rigorosa competenza e conoscenza della storia della filosofia, dei suoi principali esponenti, e delle sue divagazioni e derivazioni teologiche.
Non è un linguista né un filologo, ma è strepitoso nel suo sapersi spiegare facendo riferimento all’etimologia di molte parole e alle loro radici concettuali.
In questo libro, che mi è piaciuto molto, Mancuso si addentra addirittura in alcune analisi, di stampo filosofico, che s’incrociano decisamente con la psicologia, gli studi in campo cognitivista, le neuroscienze. Il che era forse inevitabile, visto che l’autore affronta il tema del pensiero. E lo fa costruendo una teoria assai apprezzabile e convincente.
Intanto, con Marco Aurelio: “gegónamen pròs synergían”, espressione di solito tradotta con “siamo nati per la collaborazione”, che ci ricorda una realtà incontrovertibile. L’homo sapiens è sociale (un animale, aggiungo io, perché Mancuso non userebbe mai questa parola, sociale). Da qui scaturisce tutto, in realtà.
Mancuso si addentra poi in sottili ma efficacissime descrizioni sugli stati mentali e cognitivi: entriamo in contatto col mondo grazie alle sensazioni; le sensazioni diventano percezioni(“appercezioni” quando si muovono in direzioni intuitive, talvolta distorte e fantasticanti); le percezioni diventano concetti e concezioni.
Tuttavia, solo la sequenza ordinata (“l’architettura”) di concetti o concezioni diviene pensiero.
Un esempio che vorrei portare a supporto è la brillante distinzione tra sapienza e saggezza. Sapienza è qualcosa di diverso da saggezza, ci dice Mancuso, malgrado le altre principali lingue europee non facciano tale distinzione.
Saggezza è la capacità di discernimento delle cose e delle relazioni umane. Sapienza vuol dire anche espressività e assertività controllate, quindi giustizia.
La sapienza, perciò, è astratta. La saggezza è invece concreta. A differenza della saggezza, la sapienza non si accontenta della pratica ma aspira anche alla teoria, in quanto vuole ottenere una visione d’insieme.
Ma proprio perché le è superiore, nel senso che le sta sopra, la sapienza dipende dalla saggezza, come in un palazzo i piani alti poggiano su quello bassi. Senza la saggezza non si può dare la sapienza, mentre è vero il contrario: senza la sapienza si può dare saggezza.
Insomma, per chi come me è alla continua ricerca di risposte utili e perspicaci su come funziona la nostra mente, di come si generano i nostri pensieri, e quindi i nostri comportamenti, si tratta di un libro prezioso.