
Nel post di questo blog in cui ho presentato la mia bibliografia ideale per avere delle basi minime di biologia, necessarie per affrontare il tema delle neuroscienze, ho parlato di libro che cambia la vita, riferendomi al celeberrimo “Il gene egoista” di Richard Dawkins.
Libro che cambia la vita, sia nel senso che esso tratta dell’origine e dell’evoluzione della vita, basata sui replicatori universali e immortali, i geni; sia nel senso del “mio” libro della vita, quello che forse ha avuto in assoluto il maggior impatto su di me e sui miei pensieri.
Non sono l’unico, a dir la verità. Molte classifiche internazionali indicano questo saggio come il miglior libro della categoria non-fiction del XX secolo, addirittura! Io lo considero un capolavoro assoluto, perché in modo chiaro e lucido l’autore sviluppa una teoria allo stesso tempo affascinante e inossidabile, che rapisce la mente e l’intelletto del lettore.
Così come gli atomi sono i mattoni di base della materia, i geni sono i mattoni di base della vita. Non sono dotati di coscienza e intelligenza, ma è come se lo fossero.
Al punto che si “comportano” in modo “egoistico”, allo scopo di ottenere l’unico risultato per cui esistono: riprodursi, all’infinito.
Da qui la metafora del “gene egoista” che è, per l’appunto, una metafora, dato che i geni non hanno sentimenti o emozioni, ovviamente, ma sono stati progettati per “replicarsi” costantemente, ed egoisticamente.
In realtà i geni non sono immortali. Semplicemente la loro estinzione non coincide con la morte dei singoli organismi che essi tendono a costruire costituendosi in colonie, all’interno delle quali trovano occasioni di collaborazione sinergica.
Gli organismi che i geni costruiscono come “veicoli” sono batteri e virus, piante e alberi, insetti, elefanti e, naturalmente, l’homo sapiens… ossia noi.
Se si capisce il concetto, si capisce molto del funzionamento della vita. Si comprende anche come il nostro cervello si strutturi e anche perché Dawkins è uno dei paladini mondiali dell’ateismo.
Richard Dawkins è in effetti un etologo, biologo, divulgatore scientifico, saggista e attivista britannico, considerato uno dei maggiori esponenti dell’epoca contemporanea della corrente del neodarwinismo nonché del “nuovo ateismo”.
Dawkins, in effetti, riesce a dimostrare in modo stupefacente e razionalmente indiscutibile, perché e per come la vita possa essere nata sulla Terra senza bisogno di alcun “creatore” (o “orologiaio”, come lui ama definirlo utilizzando un’altra delle sue singolari metafore).
Detto questo, io da buon kantiano non posso che vederla in modo diverso, visto che la scienza non può dimostrare l’esistenza di Dio, ma neanche la sua inesistenza.
Fin qui, tutto sommato, nulla di nuovo, se non una descrizione aggiornata e appuntita del darwinismo…si potrebbe dire.
Ma Dawkins condisce il tutto con una combinazione di chiarezza analitica e leggerezza narrativa (piena di humor tipicamente britannico), il che rende la lettura un’esperienza gradevolissima, per quanto densa e pregnante in ogni singola frase.
Se la teoria dei geni “egoisti” che guidano, grazie a una coscienza non cosciente e a un’intelligenza non intelligente, anche gli esseri viventi dotati di coscienza e intelligenza come noi umani è intrigante, la teoria dei “memi” (che Dawkins accosta opportunamente dichiarandola frutto di intuizioni, più che di evidenze inattaccabili) è assolutamente strepitosa.
Anche la sua idea di “memi” ha fatto nascere un consistente filone di letteratura scientifica e filosofica, nel tentativo di spiegare meglio l’evoluzione culturale dell’uomo.
Forse prima o poi scopriremo un DNA culturale, che conferma l’idea di evoluzione culturale, così come il DNA genico ha confermato l’intuizione darwiniana di evoluzione biologica.
Una volta letto il “Gene egoista”, nasce naturalmente il desiderio di proseguire la lettura di altri libri altrettanto interessanti di Dawkins, dal “Il fiume della vita”, che nell’edizione italiana contiene una bellissima prefazione del Prof. Boncinelli, a “Il fenotipo esteso”, oppure “Alla conquista del monte improbabile”, o “L’orologiaio cieco”, che nel titolo richiama la metafora del creatore di cui parlavo prima.